Web1, Web2, Web3. Una differente interpretazione
Quando si parla di web1, web2, web3 si fa riferimento alla web di sola lettura, interattivo e proprietario. Nel post provo una differente approccio basato sul concetto di piattaforme ricche e povere.
Quando si parla di web1, web2 e web3 la metafora più utilizzata è quella del leggere, scrivere, possedere.
Il web 1 è il web in modalità “solo lettura”. I protocolli di rete e il linguaggio html permettono ai web master di creare milioni di pagine e siti, ma gli utenti possono limitarsi a fruirle a fare zapping seguendo i collegamenti ipertestuali (Tim Berners-Lee). Il web1 permette un accesso completamente nuovo alla conoscenza e alle informazioni, che superare di vari ordini di grandezza quello precedente basato su libri e televisione.
Il web 2 per contro, grazie agli sviluppi tecnologici, permette di interagire con le pagine e questo amplia enormemente le possibilità degli utenti, che da fruitori si trasformano in autori, produttori, editori. Nasce la figura del prosumer, l’utente 2.0 che è al tempo stesso consumatore e produttore. Le nuove potenzialità tecnologiche (Ajax, Flash Adobe) vengono sfruttate dai social network che creano piattaforme di condivisione e pubblicazione dei contenuti degli utenti stessi. Il web 2 rende possibile non solo la fruizione di quantità infinite di informazioni, ma la generazione di una nuova conoscenza e di nuove informazioni prodotte da miliardi di persone abilitati a produrre contenuti di ogni genere. I contenuti e le interazioni degli utenti diventano il nuovo modello di business delle piattaforme, che nel frattempo sono diventati i nuovi titani dell’industria di internet. E questo porta ad una deviazione rispetto al percorso di democratizzazione. Gli utenti rappresentano la forza lavoro non retribuita dai social. Le interazioni, i contatti, i dati e i contenuti prodotti vengono ceduti incondizionatamente alle piattaforme, le cui policy stabiliscono che gli utenti cedono qualunque diritto in cambio dell’opportunità di avere un palcoscenico nel quale esprimersi.
Infine, il web 3 rappresenta la reazione a questa deviazione attraverso sistemi che garantiscono agli utenti il controllo e la proprietà dei propri contenuti, attraverso blockchain, NFT e smart contracts.
Questa è la storia ufficiale. E può essere considerata sufficientemente precisa. Tuttavia non spiega perché le cose sono andate in questo modo. Vorrei dunque provare a sviluppare una riflessione che parte dal concetto della rete come piattaforma e sulla base di questa metafora provare a dare una differente veduta dell’attuale corso del web3
La rete iniziale, quella basata sui protocolli http e sui linguaggi di programmazione html, era una piattaforma povera. Se vogliamo immaginarla utilizzando una metafora naturale potremmo visualizzarla come la tundra. La tundra è l’ambiente tipico delle zone subpolari. Le condizioni estreme rendono la vita impossibile per la maggior parte delle specie. E così sono pochi gli animali che riescono a sopravvivere nella tundra (qualche tipo di roditore, le alci, alcuni orsi, le volpi polari). Anche la flora è limitata a poche specie. Gli alberi non riescono a crescere, per la mancanza di sole. La maggior parte delle piante sono piccoli arbusti, licheni, muschi.
Il web 1 era una piattaforma molto estesa, ma basata su pochi elementi costitutivi: immagini e testi organizzati in pagine web collegate tra loro e collegate tal volta con altre siti e pagine, composte a loro volta di immagini e testi. Giustamente è stato osservato che l’utente non aveva altre possibilità se non la fruizione dei contenuti.
Il web 1 non permetteva l’insediamento di una civiltà. Non permetteva alle persone di edificare città, avviare imprese e costruire nuove culture. Per farlo era necessario che aziende con potenti mezzi colonizzassero il territorio, introducendo nuove tecnologie.
Innanzitutto nel web1, l’utente non esisteva. Non esisteva un concetto di identità. Colui che visitava un sito era un indirizzo IP anonimo. Non esisteva un economia nativa e autoctona in grado di permettere scambi commerciali tra persone. Non esistevano regole che stabilivano modalità di comportamento. La rete era appunto una piattaforma povera, che non consentiva la creazione di un sistema emergente.
Negli anni successivi, alcuni progressi tecnologici e l’introduzione di nuovi linguaggi di programmazione e la ricerca nel campo dell’interfacce visuali hanno permesso di introdurre alcuni degli elementi mancanti all’interno della rete. Ma la maggior parte di questi sistemi sono stati introdotti direttamente dalle aziende. Alcune delle quali sono riuscite ad ottenere la fiducia delle persone e diventare i punti di riferimento degli utenti. I social network come Facebook, Myspace e Twitter sono diventati i punti di riferimento per la gestione dell’identità online. Le grandi banche, le società delle carte di credito e nuove istituzioni finanziarie digitali (Paypal, Stripe) sono diventate i punti di riferimento per gli scambi commerciali. Le piattaforme social e i siti di raccomandazione sono diventati i punti di riferimento per la gestione dei contenuti.
In pratica man mano che, grazie alle nuove tecnologie, la rete diventava un mondo vivibile, i pilastri di questo mondo venivano edificati e gestiti da imprese private. Un po’ come se nella nostra “tundra” venisse innalzata una civiltà e ogni cosa all’interno di questa civiltà fosse di proprietà delle aziende private: dalle case degli abitanti alle regole che disciplinano le relazioni, dalle piazze dove le persone scambiano beni e opinioni, agli stessi beni e opinioni scambiate dalle persone. Ecco questo è il web 2.
Il mondo era povero. E doveva essere edificato. Le grandi aziende digitali hanno reso possibile la costruzione di una nuova civiltà, sopra la tundra povera e arida del web1. Ma in questa civiltà tutto è posseduto dalle aziende e nulla dalle persone. Nulla appartiene ai singoli abitanti. In questa civiltà noi non possediamo nulla e non abbiamo diritto su niente. Questo è il web2. La povertà tecnologica non permetteva di fare nulla nativamente e così le prime società colonizzatrici hanno edificato e costruito le infrastrutture che hanno permesso agli utenti di scambiare merce, interagire, esprimere opinioni, divenendo proprietari del nuovo mondo. Il web2 a differenza del web1 è un mondo. E’ un prolungamento della realtà. E’ pieno di risorse. Ma è totalmente artificiale. E’ un po’ come la stazione spaziale di Elysium. Fuori dalle infrastrutture artificiali delle multinazionali, vi è solo povertà, aridità, disperazione e radioattività. In un certo senso non poteva che andare così.
Ma negli stessi anni, in ambienti completamenti differenti, comunità anonime di sviluppatori, attivisti, filosofi, complottisti, folli, pensatori divergenti e geni stavano costruendo un tipo completamente differente di rete. Una rete ricca, con logiche completamente differenti. Questi folli e visionari erano cresciuti all’interno degli ambienti più dissidenti e contestati del web come le reti peer to peer, arrivavano dal mondo hacker e si erano abbeverati nella fantascienza e nei mondi cyberpunk.
Nel 2009 un gruppo anonimo di programmatori, sotto lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto, lancia un protocollo nuovo chiamato Bitcoin, la prima forma di blockchain e di cryptovaluta della storia.
Bitcoin non è solo una moneta virtuale. E’ un concetto differente di rete, che si basa su un nuovo modello tecnologico e un nuovo tipo di piattaforma chiamata blockchain. Bitcoin si diffonde gradualmente. Soprattutto trainata dalla speculazione finanziaria. Ma la speculazione non poteva comunque nascondere il concetto rivoluzionario della blockchain. La blockchain è un tipo completamente nuovo di tecnologia che permette la creazione la nascita di tipo di rete completamente differente.
In primo luogo i contenuti (siti, applicazioni, video, immagini) non risiedono sui server privati delle aziende. Ma sui computer stessi degli aderenti alla rete. In secondo luogo il protocollo della rete Bitcoin include un sistema per la creazione di una valuta virtuale e un sistema di pagamento completo, che permette alle persone che aderiscono al protocollo, di essere incentivati a svolgere azioni positive per la comunità e a chiunque aderisca a Bitcoin di scambiare beni e valute, creando scambi commerciali nativi.
Tutti il codice Bitcoin - e in generale delle blockchain - è open source, pubblico, passibile di miglioramento e trasformazione. Ovviamente Bitcoin non è un’azienda privata. E’ un protocollo tecnologico e una community. E’ una civiltà. Dall’esperienza Bitcoin sono nate nuove blockchain e nuove cryptovalute. Di queste ricordiamo Ethereum, che ha aggiunto un ulteriore pilastro alle reti blockchain: gli smart contracts, ovvero la possibilità di applicazioni con specifiche regole di funzionamento che servono per disciplinare contratti, diritti e scambi all’interno dei protocolli della blockchain. Come il protocollo base, anche gli smart contracts sono opensource, liberi, modificabili e di pubblico dominio.
Questi protocolli si sono pian pianino arricchiti di nuove funzionalità e soluzioni tecnologiche, migliorando la sicurezza della blockchain e risolvendo problematiche di governance dei protocolli. La community opensource di centinaia di migliaia di programmatori ha prodotto miriadi di migliorie e aggiornamenti. Alcuni dei quali talmente radicali che hanno dato vita a nuove blockchain e differenti protocolli. Tutto questo brulicare di piattaforme, soluzioni, protocolli e idee ha preso il nome di web3. Ed è un ecosistema di molteplici piattaforme, ciascuna delle quali è assimilabile a una civiltà che funziona in modo diverso dalla civiltà del web2
Il web3 non è la continuazione del web2. Poggia sempre sulla rete. Ma è un differente ecosistema. A differenza del web originale che è povero (come la tundra), il web3 è ricco e vitale come la barriera corallina, il più straordinaria habitat naturale del nostro pianeta. La community dei programmatori opensource ha dato vita ad un ecosistema infinito e ricchissimo che abilita in modo nativo, senza bisogno di intermediari e aziende le seguenti cose:
Possedere un’identità
Possedere un portafoglio (possibilmente con valute al suo interno)
Fare transazioni
Avere diritti di proprietà su determinati contenuti
Questi 4 pilastri, che nel web 2 sono abilitati da aziende private (social network, gateway di pagamento, banche e istituzioni finanziarie), nel web3 sono nativi: diritti e prerogative assolute di ogni utilizzatore dei protocolli, da cui sono resi possibili. I protocolli sono risorse naturali. Sono gratis e pubblici. Come l’ossigeno, l’acqua, le risorse naturali e sono regolati dai protocolli medesimi. Non si possono privatizzare l’acqua e l’ossigeno. Non fino a quando esisterà la speranza del web3
Se dunque il web1 è come la tundra subpolare, povero, arido ed estremo. Il web2 è la stazione spaziale artificiale di Elysium, Il web 3 è come la barriera corallina, ricca di vita, di risorse naturale, generate e create dalla stessa comunità a beneficio di chi aderisce ai protocolli e infinitamente disponibili per tutti. Il web 3 non rende impossibile la creazione di impresa. Ma permette al singolo utente di avere diritti assolute e inalienabili anche sulla rete. Addirittura sancendo il diritto alla proprietà individuale, la dignità individuale e il diritto della libertà sancisce i principi che sono alla base delle forme sane e originarie del capitalismo. Il web3 grazie alla sua ricchezza naturale può dare origine ad un differente modello ed ecosistema di crescita, economia ed innovazione. Rappresenta il migliore antidoto che abbiamo a disposizione contro il rischio dei monopoli e delle forme autoritarie di capitalismo, basate sulla povertà delle risorse e dunque su una acerrima lotta per la sopravvivenza, dove il più forte, il più ricco e il più aggressivo prevalgono e prevaricano.
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