Gli errori del Tecno determinismo
Non basta che una tecnologia sia decentralizzata per essere una buona idea. Abbiamo bisogno di esempi, metafore e metriche per non ricadere nelle trappole del web 2.0
Blockchain, DAO, Web 3 sono tecnologie e infrastrutture “più benefiche” delle precedenti? La decentralizzazione che le caratterizza avrà di per sé effetti positivi sulla rete e sulla società man mano che si diffonderanno? Rispondere SI, farebbe di me uno degli ultimi tecno deterministi.
Il padre del tecno determinismo è il famoso sociologo Marshall Mcluhan autore della celebre frase il “mezzo è il messaggio”. Secondo Mcluhan il “media” (mezzo tecnologico e di comunicazione) dominante di un’epoca storica influenza in maniera determinante il tipo di società e di uomo che si sviluppa a partire da esso. L’invenzione della stampa da parte del poliedrico Johannes Gutenber, nel sedicesimo secolo, non ha semplicemente favorito la nascita della tipografia ma ha determinato la nascita di un nuovo tipo di uomo e di società. La stampa segna il passaggio dalla cultura orale, dove la relazione tra le persone è polisensoriale, locale e tribale, ad un nuovo tipo di cultura tipografica, dove il senso privilegiato diviene la vista e il modello di relazione tra le persone diviene quello razionale e quantitativo. L’ingresso in scena della TV segna per McLuhan un ulteriore passaggio evolutivo. La TV determina un nuovo tipo di cultura di massa, in quanto permette la diffusione di messaggi secondo il modello distributivo “da uno a molti” (da una persona a tante) in maniera efficace e duratura. McLuhan spiega come la TV sia stata un elemento decisivo per la costruzione dell’età consumistica. Grazie alle TV sono stati indotti e rafforzati i bisogni che venivano di fatto soddisfatti dalle aziende produttrici di beni e servizi. McLuhan, che ci ha lasciati nel 1980, non ha potuto studiare Internet. Ma chi è venuto dopo di lui, proseguendo la sua visione deterministica ha raccontato le magnifiche e progressive sorti che sarebbero toccate all’umanità grazie alla diffusione di internet. Filosofi del calibro di Pierre Lévy e Derrick de Kerckhove hanno intravisto nella rete uno straordinario strumento di partecipazione e rivoluzione sociale. Tanto la TV era passiva e inerte, quanto Internet è uno strumento di partecipazione ed emancipazione.
Sfortunatamente questi filosofi sono finiti nel dogmatismo dell’intelligenza collettiva e soprattutto sono diventati il vessillo ideologico dello sfruttamento della rete da parte di coloro che volevano monetizzare la partecipazione degli utenti e farne la bandiera per un nuovo tipo di restaurazione. Tra proclami e manifesti entusiasti sulla partecipazione, la libertà e la democraticità della rete, nel corso degli anni internet ha dato i natali ai più straordinari monopoli di sempre e ad una concentrazione di potere che non ha precedenti. Delle 10 persone più ricche al mondo, 7 sono fondatori di imprese digitali nate in Silicon Valley e hanno ciascuno individualmente patrimoni superiori a quelli di molte nazioni.
Il tecno determinismo si è rivelato così una grande menzogna. Non solo la rete (in particolare il web 2) non ha dato vita ad una solida partecipazione, in quanto gli utenti non sono proprietari dei contenuti che generano e non possono monetizzarli, a differenza delle piattaforme che invece generano montagne di denaro, ma soprattutto intorno alle nuove piattaforme sono nati nuovi astronomici conglomerati di potere che hanno pian piano cannibalizzato spazi pubblici, raso al suolo intere industrie e ora dialogano ad armi pari con i governi nazionali incidendo direttamente sulle decisioni della politica mondiale.
Mentre gli utenti litigano in rete tra loro, senza averne nessun beneficio, e se colti in flagrante con qualche post o video non conforme alle sempre cangianti linee guida, vengono bloccati e messi in quarantena, le piattaforme diventano imperi che controllano l’informazione, l’opinione pubblica e influenzano la politica mondiale.
Le nuove tecnologie hanno preso maggiormente sul serio il tema della decentralizzazione e della partecipazione ma non sono immuni al rischio di trasformarsi in nuove colonie del vecchio Impero. In fondo oggi la maggior parte delle applicazioni di blockchain sono utilizzate da speculatori finanziari. E la maggior parte dei finanziatori del web 3 sono gli stessi Venture Capital tradizionali che hanno creato le leve finanziarie che hanno trasformato le piattaforme social in imperi mediatici da centinaia di miliardi di fatturato. Che da una tecnologia decentralizzata e partecipativa discenda in maniera naturale una rete e addirittura una società migliore è una tesi che forse è il caso di lasciar cadere senza nemmeno provare a confutare le obiezioni.
I grandi visionari del web 3 da Satoshi Nakamoto a Tim Berners Lee e a Vitalik Buterin erano animati dal principio di creare una rete differente rispetto a quella delle corporation plurimiliardarie. Ma per ogni Satoshi che vuole costruire un modello di società differente, ci sono cento ostacoli che si frappongono tra lui e la trasformazione della sua visione nel mondo reale.
L’idea del determinismo tecnologico era troppo bella per essere vera. Il concetto di cui si parla oggi è quello dell’Affordance. L’Affordance è l’utilizzo che ci viene mente guardando un oggetto. L’idea di “apertura” è il primo utilizzo che ci viene in mente quando guardiamo una porta. La maniglia predetermina l’azione dell’aprire. Ma soggetti malintenzionati possono usare la maniglia per scardinare e scassinare la porta. La decentralizzazione p2p della blockchain ci invita a pensare forme decentralizzate di società, ma non determina di per sé una rete più aperta, perché potrebbero venire costruiti layer di centralizzazione sopra l’idea originaria e in parte sta accadendo. Sistemi partecipativi basati su social token non danno automaticamente origine a modelli cooperativisti di organizzazione. Anche se sembrano fatti apposta per raggiungere esattamente questi obiettivi.
La decentralizzazione della blockchain e la dimensione partecipative delle DAO sono metafore. Sono spunti di design. Ci invitano a pensare il mondo in modo diverso e ci invitano a riflettere su nuovi design creativi della società. Quando Satoshi Nakamoto nel 2009 ha pubblicato il whitepaper di Bitcoin sostenenendo di avere risolto il problema del “double spending” non ci stava invitando a riflettere su un problema tecnico. Ma ci stava dicendo che era possibile creare una politica monetaria senza banche. Ora le banche (anche quella Centrale Europea) si stanno buttando a capofitto su blockchain e criptovalute e questo è esattamente un esempio dei cento ostacoli che nascono per ogni Satoshi che crea un nuovo mondo possibile. Quando nel 2013 Vitalik ideava le DAO non ci stava proponendo un rompicapo organizzativo. Ci stava invece dimostrando che è possibile governare un’intera organizzazione senza un leader attraverso logiche P2P (simili a quelle dei sistemi emergenti naturali). Gli esempi che ci hanno messo davanti agli occhi i grandi visionari del web 3 sono metafore di come potremmo iniziare a ripensare la rete, le applicazioni, le startup, le organizzazioni e la società ispirandoci a principi di organizzazione dal basso, partecipazione democratica diretta e modelli open source.
Non è la lettera di quelle visioni che ci deve guidare, ma lo spirito di trasformazione del mondo che le anima. La grande ingenuità del web 2.0 non è stata quella di non avere portato alle sue estreme conseguenze il processo di decentralizzazione che pure aveva iniziato. Ma è stato il credere che Internet di per sé avrebbe condotto ad un mondo migliore. Ma così evidentemente non è stato. Oggi non possiamo permetterci la stessa ingenuità. L’opportunità che abbiamo è quella di aggiungere alla tecnologia, una maggiore consapevolezza dei cento ostacoli che si frappongono tra un’ottima tecnologia e il suo impatto reale nel mondo.
Teorici ingenui, forse animati da buone intenzioni, hanno fatto da volano per una speculazione senza criterio. Abbiamo bisogno di metriche per validare la direzione in cui andiamo. Il fatto che la maggior parte delle transizioni blockchain e la maggior parte dei miner siano nelle mani di pochi gruppi indica che qualcosa sta andando storto. Dobbiamo creare sistemi che non soltanto partono dalla parte giusta, ma sappiano anche cambiare rotta nel corso del proprio cammino. Dobbiamo costruire un sistema di obiettivi declinato in indicatori di performance in grado di dimostrare giorno per giorno la correttezza del percorso che stiamo facendo, in modo da non trasformare in vuoti proclami la decentralizzazione e la partecipazione come nuovi modelli di società